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Buon Pomeriggio, visitatore, il tuo numero IP è : 3.144.82.238 - Fanne buon uso ;-) — Pasqua sarà e⁄o è stata il 31/03/2024
Capistrano (VV), sabato 21 dicembre 2024 ~ Ore : 16:48:20 • New York: 21/12/2024 10:48:20 • Tokyo: 22/12/2024 00:48:20 • Sydney: 22/12/2024 02:48:20
Settimana dell'anno n° 51 - Trimestre 4 [dicembre] || ♐ Sagittario ♥ ;-) • Giorni trascorsi da InizioAnno: 356 - Giorni mancanti a FineAnno: 10: Precisamente 0 anni, 0 mesi, 2 settimane, 10 giorni, 247 ore, 14831 minuti, 889899 secondi!
Il sole sorge alle ore 07:34 e tramonta alle ore 16:42 - San Pietro Canisio
Si entra in INVERNO
La notte fu tutta fasciata di silenzio e i sogni svanirono
all'alba. Sono inchiodato qui con l'anima a pezzi. Sotto e sopra mare e cielo, ma io chiudo gli occhi, non voglio
vedere: mi vendico così, negandomi a quest'aurora che non mi appartiene.
Sento ancora sulla mia pelle le calde carezze di mia madre e le sue accorate parole di conforto:
«Tornerai presto, vedrai, il tempo volerà in un attimo» mi disse, ricacciando le lacrime. Ma
io sto volando su un'altra dimensione, verso una terra non mia. Per farmi forza ripenso alle mie radici che sono
tanto profonde quanto il vuoto che mi assale, come in un abisso. Penso alla mia casa, quasi sospesa su un prato
e tinta di tenui colori, tali da cartolina, cartoline che non spedirò mai da questo nuovo mondo, mi dico,
con una rabbia nuova che s'insinua dentro rodendomi l'anima. Non mi conforta, certo, la passata brillante carriera
universitaria e i vari master conseguiti. Sono via, via dalle mie cose, dagli affetti; il distacco mi brucia i pensieri
che si scagliano insieme come una barca in burrasca. Mi mancano i miei tempi allegri, le magnifiche avventure e
le feste gagliarde. Per non prorompere in singhiozzi, senza far rumore, sospiro piano. Mi riporta alla realtà
il vuoto d'aria che l'aereo scrive sulle onde blu della sua rotta e l'insistente, delicata premura dell'hostess nel
porgermi cibi e bevande ripetutamente rifiutati dal mio essere bruciato di tristezza. Non voglio guardare il mare,
eppure quante volte l'avevo fatto: il suo sapore s'insinuava nelle narici invadendo ogni più remoto anfratto
regalandomi quiete; indugiavo a tenere l'acqua tra le mani, per poi vederla scorrere, lieve, tra le dita. Chissà
se i miei sogni continueranno a vivere al confine di un mare e un cielo che segnano un orizzonte sconosciuto.
I primi giorni dormirò in un hotel. Mi ripeto sottovoce se riuscirò a non pensare ai volti amici,
affezione naturale del mio animo: mi mancano, ma il mio destino è in corso e devo continuare. Dopo anni
lunghi di studi faticosi, sono un emigrante. Anche se non ho la valigia di cartone mi pesa il mio bagaglio, come un
macigno. Ho lasciato la mia terra con le sue zolle segnate dai sacrifici di tanti eroi che hanno combattuto
perché fosse libera! Io volevo restare ma non potevo più attendere, inoperoso e stanco, ed allora
eccomi qui. Paragono il mio andare all'esodo dei tanti migranti che arrivano in patrie diverse. Affondano le mani
tremule nelle tasche vuote e tendono i loro petali sgualciti verso il pane, la libertà e la pace.
Sono all'aeroporto e vorrei lasciare questo posto immediatamente. Mi sento alla deriva, il rumore mi è
insopportabile. Intanto devo sbrigarmi. Faccio cenno ad un taxi di fermarsi e do l'indirizzo dell'hotel. Inutilmente
cerco di pensare che dove avrei alloggiato ci sarebbero state persone pronte a prendersi cura di me, poiché
rimango ancora cosparso di dolci memorie e quindi scelgo il conforto delle malinconie. Dalla mia camera do
un'occhiata al cielo: è striato di nuvole, penso alla pioggia ormai prossima e, naturalmente, la mia mente
vola sugli spazi aperti dei miei pomeriggi assolati, quando il frinire di cicale mi allargava l'anima in sorrisi. Riassetto
ancora le mie forze per scendere nella hall e chiedere al direttore informazioni sul
villaggio a pochi chilometri dalla capitale, sede dell'azienda del mio futuro lavoro e delle mie incognite. I primi
tempi sono duri. Io, un cuore nascosto tra tanti cuori che sento lontani, diversi. Rispondo ai colleghi parole brevi,
essenziali. Dalla loro gentilezza formale, cerco di cogliere provvisori accordi di coesistenza, perché devo
e voglio lavorare. Quando i miei occhi percorrono instancabili la linea netta dell'orizzonte, mi faccio forza con una
frase di Jules Renard: «Non mi annoio da nessuna parte, perché trovo che annoiarsi sia insultare se
stessi». Allora stringo i pugni e vado avanti, anche quando torno nel mio alloggio e sento nelle poche stanze
quell'odore strano che sa di carburante. Le strade del villaggio mi lasciano addosso una polvere sottile ripetutamente
lavata sotto una cascata d'acqua che mi scalda il viso e mi brucia gli occhi tamponandomi le lacrime. Nei momenti
di pausa, mi siedo su una panchina con un libro in mano e cerco di annusare il profumo del legno, così, se
chiudo gli occhi riesco a riaprirli in mezzo agli uliveti delle mie colline. Sono scatti di fotografie, immediate e
istantanee, che mi cercano, come un incontrastato amore, riempiendomi di carezze e sogni. Vola il mio cuore a
inseguire tracce di vita e di suoni della mia patria lontana, libera e cara. Tornerò, mi ridico, a guardare, dal
mio balcone, il campanile della chiesa ergersi maestoso verso un tremolio di stelle. Su questa panchina cerco
ancora una divina armonia del creato per dissetare la nostalgia che mi tormenta. Percorro, infatti, ancora in silenzio,
i miei giorni; sono un osservatore non coinvolto emotivamente. La realtà che vivo è relativa ed
effimera e non si modifica con alcuna capacitą percettiva. Dimentico i nomi di chi incontro, gruppi misti verso cui
avverto solo indifferente neutralità. Solo il ricordo e l'ardente desiderio di un ritorno mi fa battere il cuore
all'impazzata, bramando, come Ulisse, uno struggente rientro in patria.
Anche qui è arrivato il Natale. Il primo, lontano dal suono di zampogne. È
un'alba piovigginosa, uguale a tante altre. La neve non si vede mai. È bello il Natale con la neve: il suo biancore
regala intimità. Salgo nel mio ufficio e mi siedo: sulla scrivania le solite cose necessarie. Oggi ho voglia di fare
qualcosa di diverso, mi dico, puntando su qualche reminiscenza di solidarietà. È la vigilia e, per scordare
i sorrisi, i pranzi, i regali, troverò un diversivo. Opto per un giro nei rioni più poveri. Compro un dolce
che possa ricordarmi un panettone con tanti canditi e frutta secca. Mi addentro in cortili dove giacciono ammassate
persone e cose. È un formicolio di gente affannata a rendere la vita meno penosa. Sotto tende improvvisate,
impregnate di muffa, dormono bambini i cui sogni, forse, rimarranno sempre tali. Le madri, all'esterno, improvvisano
piccoli mercati di roba, offerta con audacia e disperazione: tentano, così, di guadagnare il pane per un altro
giorno. Mi sento ridicolo col dolce in mano, dovrei averne mille per darli ad ognuno. Mi assale una sensazione strana
e, avverto, forse per la prima volta, un senso di fraternità: mi sento un po' meno straniero. Capto in quei
volti tutti coloro che, in qualche modo, si affannano alla ricerca di una speranza.
Mi si avvicina un vecchio, ha i capelli bianchi, come quelli di mio padre. Il suo sguardo fiero stride con le sue mani callose
e annerite: improvviso una lunga e incomprensibile conversazione; nel suo sguardo sto cercando il volto di qualche mio
compaesano. Lui mi guarda tacito, eppure mi ascolta e, a volte, lo vedo addirittura sorridere. Sento di volerlo abbracciare,
cerco un contatto che mi dia calore. Gli porgo il dolce stringendogli forte la mano e mentre gli dico: «Auguri»,
mi avvolge un alito di vento... finalmente accarezzo il "mio" cielo!
Esposito Barbara
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Autore: Barbara Esposito
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