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Capistrano (VV), martedì 3 dicembre 2024 ~ Ore : 18:20:06 • New York: 03/12/2024 12:20:06 • Tokyo: 04/12/2024 02:20:06 • Sydney: 04/12/2024 04:20:06

Settimana dell'anno n° 49 - Trimestre 4 [dicembre] || ♐ Sagittario ♥ ;-) • Giorni trascorsi da InizioAnno: 338 - Giorni mancanti a FineAnno: 28: Precisamente 0 anni, 0 mesi, 4 settimane, 28 giorni, 677 ore, 40659 minuti, 2439593 secondi!

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Palazzo Bongiorno a Capistrano

〈Alla cara memoria di Luciano Brizzi,
musicista e amico〉

Dal balcone della mia casa paterna si gode la paradisiaca visione di "villa Bongiorno" con i suoi orti, agrumeti e giardini disseminati da fiori e piante che, in tutte le stagioni, rendono l'aria profumata. In una delle tante entrate della villa, si ergeva maestoso un "pino domestico", chiamato dialettalmente, "a pignara do signurinu" alto circa sei metri, ramificato ad ampio ombrello, delineato, alto e maestoso, tra cipressi e altre varietà di alberi, per cui non mancava di offrire ombreggiante frescura. Oltre ad essere luogo d'incontro per bambini e adulti, la pianta, in autunno, regalava abbondanti e gustosi pinoli. Sotto i rami di tale pino, nidificavano numerosi uccelli che facevano sentire i loro cinguettii festosi anche nella vicina Chiesa. Purtroppo nel 1977 la famosa "pignara" fu abbattuta lasciando tanta mestizia nei capistranesi. In particolare, un poeta del posto, emigrato in Canada, ne celebrò la bellezza perduta con un poema struggente ricordando i tanti momenti passati sotto l'amato albero. Pensava e sperava di ritrovarne almeno un ciocco, magari in un salotto di qualche reggia, per raccontarsi il felice passato. Tale giardino, dunque, apparteneva all'antica famiglia dei "Bongiorno" proveniente da Mantova e insediatasi nel feudo-calabrese 〈Capistrano, Petrizzi, Girifalco, Curinga〉. L'insegna nobiliare del casato, scolpita su pietra locale estratta dalla cava sita nel territorio capistranese, è posta sul portale della Chiesa. Vi è raffigurato un albero, un prato e un sole nascente. All'interno della Chiesa madre si possono ammirare reperti archeologici e il sepolcro, con statua marmorea, del capostipite Pietro Bongiorno. Il personaggio era apprezzato e conosciuto, in campo nazionale, per le sue doti umane e per l'immane ricchezza. I marchesi Bongiorno, dunque, arrivati a Capistrano tra il milleseicento e il millesettecento, hanno saputo stabilirsi, con estrema saggezza, sull'unica pianura esistente sulla collina capistranese, tra i fossi "Condò" e "Don Mommo", attraversati dalle limpide acque dei ruscelli omonimi. Il palazzo, costruito in tale sito, oltre ad essere ricco di storia, era in vivaio di cultura, possedeva, infatti, una vasta biblioteca curata dai monaci camaldolesi che vivevano in un fabbricato a ridosso del palazzo. Uno di tali monaci, Padre Pasquale Onofrio Bongiorno, apparteneva alla famiglia dei marchesi; era chiamato "santo Monaco" per le sue doti umane, oltre che cristiane. Si racconta che alla sua morte, i fedeli capistranesi e gli abitanti dei paesi vicini, hanno conservato pezzettini del suo vestito di lana bianco dell'ordine Camaldolese. Di lui rimangono tracce e dipinti. Sulla pietra di volta del portone d'ingresso, è scolpita la data dei lavori di completamento del palazzo (1707). L'entrata è ampia e comprende due accessi, uno, con scala marmorea, al piano superiore, l'altro, con cortile, alla grande villa-giardino. Da tale lato si accedeva ai grandi magazzini, colmi di vivande variamente ammassate e dalle cui grate si affacciavano i ragazzini per ammirare quel ben di Dio. Nella parte secondaria del palazzo viveva il numeroso staff della servitù di ambo i sessi, addetti alla pulizia della cucina, della villa, dei cavalli e asini, allora necessari per spostarsi fuori territorio. L'ultimo rampollo del casato dei Bongiorno fu l'avvocato Francesco Bongiorno 〈per i paesani don Ciccillo〉 che era nato il 21/11/1911, celibe e deceduto per morte naturale il 15/08/1944. Il padre, avvocato Camillo Bongiorno, a seguito della morte dell'unico figlio, adottò un nipote della moglie defunta, tale Carnovale Silio che divenne proprietario di tanti beni ad eccezione di quelli ereditati. L'avvocato Francesco Bongiorno, prima di morire, aveva espresso il desiderio, stilando regolare testamento, di voler lasciare i suoi beni 〈terreni e fabbricati〉, per l'istituzione, a Capistrano, di un asilo infantile recante il suo nome. Il tutto si concretizzò con un atto deliberativo del Comune dell'8/06/1947, quando fu fondato l'Ente morale "F. Bongiorno". La scuola ha funzionato ed è stata di aiuto a numerose famiglie, la sua durata, però, ebbe termine negli anni ottanta, a seguito dell'inarrestabile decremento anagrafico e del continuo flusso emigratorio. Successivamente, in attuazione della Legge dello Stato relativa alla soppressione di piccoli enti pubblici, tutti i beni sono passati di proprietà del Comune. Un imprenditore edile capistranese, rientrato dall'estero dove era emigrato negli anni cinquanta, comprò e costruì sui ruderi della "casa dei monaci", attigua al palazzo Bongiorno, un nuovo fabbricato a due piani. Esso, che si affaccia sulla via "Roma" e, per una piccola traversa, su via "Pietro Mascagni", fu venduto, nei primi anni sessanta, a mio padre e, da oltre settant'anni, da lui abitato. Un vicoletto, sul quale abbiamo diritto di passaggio, termina con un portoncino che ha accesso al cortile del palazzo. Ora non è più usato dagli attuali proprietari, ma per i Bongiorno era l'entrata secondaria. Il destino ha voluto che io crescessi in una casa che era stata comunità di monaci, vivaio di preghiere e cultura. Quando vado a trovare mio padre, mi affaccio a posare il mio sguardo sulla villa e sui giardini dei Bongiorno, allora, mi rivedo bambina e la mia anima si nutre di tutto il bello che quello spazio mi ha regalato. Se osservo le finestre, non mi è difficile immaginare gli enormi saloni con le pareti intarsiate con i volti dei personaggi illustri, oppure le grandi tende in broccato rosso, oro e argento. Se sto più attenta immagino il fruscìo della seta o l'odore del cuoio. Nei pomeriggi assolati, noi ragazze e ragazzi, fantasticavamo sulle bellezze di palazzo Bongiorno e sui suoi meravigliosi giardini; li attraversavamo correndo, giù per le siepi, raggiungendo gli anfratti più nascosti che, dicevano i nostri avi, contenessero chissà quali tesori. Era bellissimo passeggiare tra i filari di tiglio che spandevano profumi inebrianti e godere dei tralci di rose colorate. Lì dentro c'era il nostro regno, così lontano dal male. Eravamo i cavalieri del sole, perché tutto splendeva e tutto si doveva creare. Formammo, infatti, con il passare degli anni, un complessino musicale e una piccola emittente radiofonica, la cui sede era una stanza, immersa nel verde della villa, anticamente adibita a stalla. Inutile dire che per noi era il paradiso: dentro, le nostre giornate iniziavano nella gioia e terminavano nella gioia. E quante canzoni urlate verso il cielo più blu. Mi pare di risentirle ancora insieme alle nostre parole e risate. Nella memoria vive ancora quel tempo, sembra quasi reale. Quando passo accanto al palazzo settecentesco lo guardo con stupore poiché i suoi colori sono gli stessi, allora, rallento i passi per cogliere i miei anni verdi e, talvolta, mi pare di udire le note di un pianoforte che, dalle antiche finestre, si liberano nell'aria per celebrare la bellezza di un tempo che fu. Credo fermamente, che ciò che abbiamo costruito allora, sia servito a temprare il nostro carattere e forgiarlo su tutto ciò che impegna il buono e il costruttivo. Il tesoro l'abbiamo trovato? Io credo di sì… quel tesoro ce l'abbiamo dentro e chi potrà mai toglierlo dal cuore? Eppure il mio non è un paese immaginario, esiste e mi ha dato tanto. Spero di avervi regalato un po' di questo "piccolo tesoro" che non ha oro o rubini… ma il suo cuore si alza, come volo di rondine, per afferrare il sole.

04/04/2024 Esposito Barbara

 

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Barbara Esposito

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