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A San Nicola da Crissa
La Madonna di Mater Domini
Antica devozione dei Capistranesi
di Salvatore Esposito
Credo che mio fratello Gerardo e le mie sorelle Pina e
Brunina ricordino pure loro quando la felice memoria della nostra mamma, con tanta devozione, faceva "i
quindici sabati" precedenti il 15 Agosto, recandosi in pellegrinaggio da Capistrano a S. Nicola, per visitare
la Madonna nella Chiesetta di "Mater Domini", oggi Santuario, ubicata nella
località S. Maria poco lontano dall'abitato di S. Nicola da Crissa.
Iniziava il pellegrinaggio settimanale, il primo sabato di Maggio e terminava a Ferragosto, giorno in cui a S.
Maria si celebrava la grande festa.
Mia mamma si alzava la mattina presto lasciando noi figli tutti a letto insieme a nostro padre. Era ancora buio e,
scalza, s'incamminava sull'allora tortuosa e mal pavimentata strada non mancando, certamente, di dover sopportare
i dolori ai piedi scalzi, procurati dai sassi e dai ciottoli ammucchiati dal passaggio dai pochi carri trainati dai muli,
buoi, etc, essendoci allora, pochissime auto circolanti sulla strada.
Il grande desiderio di mia madre, comunque, era quello di arrivare presto e vedere la Madonna che avrebbe lenito
ogni dolore e sacrificio.
Eravamo verso la fine degli anni '30 del secolo scorso ed io avevo circa cinque anni, quando in occasione di uno dei
quindici sabati, tra la fine della primavera e l'inizio dell'estate, io non volli rimanere a casa e la mamma mi portò
con sé a S. Maria. Durante il viaggio di andata, con la "Fadda", da sola, recitava i quindici misteri
del Santo Rosario, allora: gaudiosi, dolorosi e gloriosi. La Fadda è una grande corona del Rosario fatta
artigianalmente con l'uncinetto, usando filo di cotone bianco ed ormai in disuso.
Quando si arrivava alla località Telìa in territorio di S. Nicola, si abbandonava la strada provinciale
che collegava i due paesi, e ci si serviva di una scorciatoia. Si trattava di un viottolo che scendeva verso la pianura
ove, appunto, vi è l'odierno Santuario circondato da secolari piante di ulivo. Lo stretto viottolo, che consentiva
a due persone di camminare fianco a fianco, è immerso in un cespugliato di macchia mediterranea,
rigoglioso di piante di erica dalle cui radici, a quell'epoca, si ricavava il "ciocco" dal quale si
ottenevano ottime pipe esportate anche in America. I fiori gialli delle ginestre emanavano un profumo intenso
che inebriava quella mia infanzia e che molti poeti calabresi hanno decantato.
I primi chiarori dell'alba ci aiutavano a meglio camminare e già si intravedeva il Santuario. Il primo ed
unica persona a farsi vedere e sentire, era l'Eremita che aveva appena finito di suonare con le due piccole
campane, il "Mattutino", detto pure "Il Padre nostro". La mamma, come di consueto,
ha salutato l'Eremita consegnandogli pure la solita bottiglietta di olio di oliva per alimentare la lampada ad
olio sempre accesa sull'altare della Madonna.
Entrati in chiesa ed inginocchiatasi davanti al miracoloso quadro della Madonna, la mamma recitava prima i
cinque Misteri Gloriosi del Rosario (sabato), la Salve Regina, La Litania ed un Requiem Eterna in suffragio
dei suoi defunti, chiudendo così la settimanale visita, più che soddisfatta per avere assolto
il suo compito di "grande devota", sicura e fiduciosa che Ella, la Madonna, l'avrebbe esaudita.
A me, devo dirlo sinceramente, a quell'età il
quadro non mi piaceva affatto, volevo vedere la statua della Madonna come per la Madonna della Montagna
di Capistrano, per cui sono uscito dalla Chiesa deluso per non aver visto quello che mi aspettavo di vedere.
Soltanto quando da giovane adulto sono ritornato in occasione della grande festa del 15 agosto, presumo
negli anni '50, ho visto la statua della Madonna miracolosa, esposta all'adorazione dei numerosi pellegrini,
sistemata sull'apposita varia sul lato destro dell'altare tra luci e fiori profumati e quindi la movimentata
festa con la fiera in suo onore.
All'esterno della Chiesa, all'ombra delle secolari piante d'ulivo vi erano in vendita tutte le mercanzie,
ma soprattutto tanta frutta di stagione: lo zibibbo di Pizzo, l'anguria "u meluni e pane", fichi
bianchi e neri, grossi e piccoli, fichi d'india bianchi, gialle e rosse, pesche, nocepesche, prugne di tanti
colori, pere, uva, etc. Tutto era al naturale e genuino, sicuramente non decongelato come adesso,
raccolto la mattina stessa e portato nelle ceste sulla testa dalle donne o dagli uomini sul dorso della
spalla e sistemato sulle improvvisate bancarelle. Se non per il frastuono degli improvvisati venditori,
che con schiamazzi cercavano di attirare gli acquirenti ("Guarda ch'è russu - Guarda
ch'è russu!", gridavano tagliando il melone), si poteva paragonare al giardino
dell'Eden.
Non mancavano gli zampognari ed i tamburinari improvvisati per gli uomini che, dopo i riti religiosi,
volevano scatenarsi nel ballo della Tarantella; così come non potevano mancare le cosiddette
"baracche" dentro le quali si cucinava e si assaporava la carne di capra e la trippa,
preparata a "ragù" con patate e l'immancabile peperoncino assai piccante. La
"marmitta" fumante stuzzicava molto l'appetito e spesso, visto le richieste, bisognava
prenotarsi per la "marmittata" successiva, non mancavano neanche le grigliate di salsicce
fresche.
Ricordo che i "mostaccioli" di Soriano facevano bella mostra nelle apposite casse di legno
dove si venivano esposte le forme più caratteristiche fabbricate dagli artigiani sorianesi.
Dopo la Santa Messa, che veniva celebrata alle 11 di mattina, si faceva la processione nel piazzale
intorno alla chiesa dopo aver, all'uscita della statua, proceduto all'incanto delle "spalle"
della varia. Le spalle anteriori partivano sempre con base d'incanto superiori alle somme offerte
per le spalle posteriori, quelli che riuscivano ad accaparrarsi le due spalle anteriori, specialmente
quella destra, venivano considerati benestanti. Finito l'incanto e sistemata la statua sulle spalle
dei quattro portatori, la banda musicale intonava il "Trio" di una delle tante marce
solenni, mentre rimbombavano in aria i colpi secchi dei fuochi artificiali. Questi, oltre ad essere
sentiti e goduti dai presenti, venivano percepiti anche da quelli che erano rimasti a casa nei
paesi vicini, molti dei quali, altrettanto devoti, non esitavano a farsi il segno della croce e lodare
la Madonna miracolosa. Il percorso della processione non era lungo perché si svolgeva
nel parco intorno alla chiesa al suono dei pezzi musicali che intonava la banda musicale ed ai canti
tradizionali religiosi in onore della Madonna. A conclusione della processione, altra sosta davanti
la porta della chiesa con la statua ribolta ai fedeli, iniziavano le Litanie Lauretane intonate dalla
banda musicale e in risposta dal coro dei fedeli con il canto tradizionale.
Il suono, il canto, il profumo della frutta di stagione e quant'altro, si mescolavano con l'assordante
ronzio delle cicale che veniva dai rami delle piante d'ulivo, creando un'atmosfera di paradisiaca
armonia e facendo gridare tutti: "VIVA MARIA".
Apriamo una parentesi e riflettiamo per un
attimo, sui due pellegrinaggi: quello della mamma, che inizia nel silenzio della notte, cammina
recitando il Rosario sotto le stelle mattutine, contempla silenziosa la natura che l'accarezza di tanto
in tanto con qualche ventata di tramontana, senza avere in sé nessun altro obietttivo se non
quello di arrivare dalla sua Madonna e l'altro pellegrinaggio, diverso, ove tutto si svolge sì anche
con religiosità: la Madonna, la Santa Messa, la processione, le Litanie etc. Io, che al primo
incontro con la Madonna non desideravo vedere il quadro miracoloso ma la statua, non l'eremita con
addosso un saio tutto rattoppato e non credo di pura seta, con un giaciglio di paglia senza luce etc,
oggi, dopo oltre sessant'anni, opterei per il pellegrinaggio della mamma.
Ritorniamo al ritorno a casa con la mamma in uno dei sabati di giugno. Il viottolo che dai pressi del
Santuario portava sulla strada in località Telia, veniva tutto in salita. La mamma ogni tanto
cercava di portarmi in braccio ma, purtroppo, anche se aveva 38 anni, si affannava. Il riposarsi era
d'obbligo. Sotto il cespugliato di erica e ginestra, oltre a riposare, la mamma provvedeva a qualcosa
di utile per la casa: "cuzzava na' manata e bruvieri" a cui erano caduti i piccoli fiorellini
bianchi che avevano annunciato la primavera, le puliva allo stelo lasciando la "cima", le
legava con tre fili di "vutamu" (ampeloderma) ed era pronta la scopa da portare a casa. Vi
era ancora qualcosa da fare. Non si poteva rimanere indifferenti alle ginestre cariche di fiorellini gialli
e poiché la mamma non aveva con sé alcun recipiente, piega in avanti con una mano
il "faddale" che portava addosso e con l'altra mano raccoglie i fiorellini deponendoli nel
"faddale" e legandolo con gli stessi lacci dopo averlo riempito di fiori. Rivolta a me disse:
«Questi, arrivati a casa, li mettiamo in un cestino e domani Festa del Corpus
Domini, o tu o una delle tue sorelle, li spargerete lungo il tratto di via davanti casa
nostra». Debbo far notare che il faddale di una donna di S. Nicola non sarebbe stato capiente
perché nel costume tradizionale della donna di S. Nicola era previsto un faddale
piccolissimo.
Terminato il viottolo in salita e arrivati sulla strada provinciale, soltanto 300 - 400 metri ed ecco sulla
nostra destra "La Fontana del Fascio". Altra sosta e la mamma, che si era accaldata oltre
che stancata, s'inchina all'altezza del canale a scorrimento continuo, si lava le mani, si dà una
sciacquata anche alla faccia per rinfrescarsi, unisce i due palmi delle mani per tenere l'acqua e così
beve nella "junta" sorseggiando e ringraziando il Creatore.
Altra strada ancora da percorrere e poi a casa dove c'erano tante cose da fare. In particolare preparare
una minestra (vuccata) calda da portare a nostro padre che era andato nel bosco a lavorare da
carbonaio. A quel punto la mia cara mamma, pur se fisicamente stanca, era rincuorata dalla certezza che
la Madonna avrebbe esaudito le sue richieste di grazie, presentatele personalmente d'innanzi al suo
altare in mattinata e che sicuramente erano quelle di conservare spiritualmente e corporalmente
sani noi familiari.
Esposito Salvatore
* * *
Tratto da "La Barcunata", agosto 2012, periodico di Storia, Antropologia e Tradizioni - Fondato nel 1995 da Bruno Congiustì
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