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Buon Giorno, visitatore, il tuo numero IP è : 18.117.110.119 - Fanne buon uso ;-) — Pasqua sarà e⁄o è stata il 20/04/2025
Capistrano (VV), domenica 20 aprile 2025 ~ Ore : 09:07:11 • New York: 20/04/2025 03:07:11 • Tokyo: 20/04/2025 16:07:11 • Sydney: 20/04/2025 17:07:11
Settimana dell'anno n° 17 - Trimestre 2 [aprile] || ♈ Ariete ♥ ;-) • Giorni trascorsi da InizioAnno: 110 - Giorni mancanti a FineAnno: 255: Precisamente 0 anni, 8 mesi, 36 settimane, 255 giorni, 6134 ore, 368092 minuti, 22085568 secondi!
Il sole sorge alle ore 06:23 e tramonta alle ore 19:56 - Sant'Agnese Segni di Montepulciano
Attestato di Merito
Testo inserito nell'Antologia
Teatro della prima delle due vigilie di Natale, fu l'umile casetta paterna sita nella via Fontana, parte alta del centro storico del piccolo borgo Capistrano,
comprendente un vano terra e un primo piano di circa quaranta metri quadrati, con unica finestra a balcone che si affacciava sulla stessa via con accesso al piano superiore da una scala esterna. Entrando al piano
terra non ancora pavimentato, sotto una piccola finestra che illuminava e arieggiava l'ambiente, c'erano i rudimentali focolari senza camino e un forno a legna, dove mia madre, settimanalmente, cuoceva il profumato,
pane casareccio. Lo spazio sotto il forno, era stato adibito a pollaio con poche galline per non far mancare il fabbisogno di uova alla famiglia e, in fondo all'angolo, vi era un'improvvisata mangiatoia, dove era
legata una capra da latte. Vicino alla madre belavano due graziosi capretti, di colore bianco e nero. Le galline, di giorno, ruspavano fuori con quelle delle famiglie vicine, mentre la capra era condotta da mia
madre al nostro vicino orto dove, oltre alla coltivazione degli ortaggi, vi era lo spazio per farla pascolare oppure per lasciarla legata sotto un sempreverde nespolo del Giappone. Ogni mattina, mia madre
provvedeva alla pulizia dell'ambiente portando nell'orto le escrezioni degli animali usati per concimare il terreno. Un altro piccolo focolare, senza camino, veniva usato solo d'inverno, alimentato con
carbone vegetale di cui avevamo buone provviste perché prodotto da mio padre carbonaio. L'ampia stanza, al primo piano, fungeva da soggiorno, camera da letto e, successivamente, fu utilizzata come
laboratorio di sartoria, da mia sorella maggiore.
Sulla piccola via Fontana, oggi via Mameli, vicino casa nostra, vi era una sorgente freschissima, sgorgante dalla roccia retrostante che, oltre a dissetare persone e animali, vivacizzava la periferica via,
per il continuo andirivieni di chi si recava ad attingere. L'intera via, oltre a cinque anziane, vedove, contava altre sei famiglie, compresa la mia, per un totale di 137 persone.
Era il 24 dicembre 1939 e terminava la lunga attesa dell'arrivo della festa più bella e più dolce. Ricordo che, allora, bambini e adolescenti l'aspettavamo, in famiglia, con la gioia nel
cuore. Mio padre, a trentasei anni, si trovava sul fronte di guerra in Albania, già dall'inizio di aprile, quando avvenne l'invasione da parte delle truppe italiane e dei suoi alleati, da dove,
con le sue numerose lettere che gli venivano scritte da un suo commilitone, essendo lui analfabeta, ricordava a mia madre di prodigarsi per la cena della vigilia di Natale, in modo da non farci sentire
la sua forzata assenza. Egli non era analfabeta per negligenza ma per non avere potuto frequentare la scuola perché la famiglia, tutto l'anno, viveva e produceva nei boschi, lontano da centri
abitati, il carbone vegetale che, assieme alla legna, veniva usato per la cucina e il riscaldamento.
Mia madre, a 37 anni, saggia e solerte, temprata alla vita di stenti e di sacrifici della prima generazione del 900, cercava di adempiere ai doveri di genitore esemplare. Aveva spugnato, da giorni,
un intero merluzzo norvegese (stocco), per preparare il sugo con patate, del nostro orto. Lasciati noi figli a letto, appena giorno, preparava l'impasto delle zeppole per farlo lievitare e friggere
in serata con il nostro buon olio di oliva. Poi si recava nella vicina Monterosso, cinque chilometri a piedi, per raccogliere i freschi broccoli autunnali, dove, ogni anno, comprava un terrazzino
coltivato da due coniugi del luogo. Sembrerebbe un paradosso, vedere mia madre, brava ortolana, andare a Monterosso a comprare e poi raccogliere in un giorno tanto impegnativo, i broccoli. Ciò
era motivato dal rigido clima di allora a Capistrano che, per la sua posizione geografica in altitudine, con neve e ghiaccio (da novembre a marzo) non permetteva la coltivazione della pregiata
specie. La ricetta prevedeva che i broccoli fossero cucinati freschi. Dopo la lunga attesa, era arrivata l'ora della cena tradizionale con le sue tredici portate. Noi bambini, però, contavamo
anche gli ingredienti (olio, sale, ecc.). Pronto quanto preparato, doveva soltanto essere portato al piano di sopra, dove era stata preparata la tavola e acceso un lume a petrolio, usato per rare
occasioni. D'un tratto si sentì bussare alla porta e mia madre si trovò davanti una mendicante che non le chiedeva l'elemosina ma un giaciglio per trascorrere la fredda notte, non
potendo rientrare al suo vicino paese 〈San Nicola da Crissa〉, perché stanca. Non era inconsueto imbattersi con indigenti stante le difficoltà economiche sofferte ma
l'orario e la ricorrenza potevano sorprendere. Sulla soglia della porta, mia madre, perplessa e impietosita, guardava quella donna avvolta in uno scialle 〈vancale〉, strappato, senza
rammendi; indossava calzettoni di lana grezza e grosse scarpe infangate e stranamente allacciate. Dotata di indiscussa umanità e altruismo, mia mamma pensava a come poter accogliere la
sua richiesta. Certamente il suo pensiero era volato a Betlemme di Giudea dove, per quanto ricordava dagli insegnamenti evangelici, doveva nascere il Messia. Ci trovavamo a ricordare il sacro
evento per cui non poteva dimenticare san Giuseppe e la Madonna, arrivati stanchi e affaticati da Nazareth, con il loro asino, per chiedere un alloggio che veniva loro negato, con una secca
risposta da tutti i locandieri: "qui non c'è posto per voi". Rasserenata, prese per mano l'umile ospite, l'accompagnò e la fece sedere al caldo focolare. Capovolte, poi
quattro grandi ceste di vimini, improvvisò la tavola per consumare lì, non sopra come previsto, la cena. C'è voluto poco per familiarizzare con la sesta persona, "aggiunta
a tavola" che, per numero sostituiva mio padre, assente. Dopo la gustosa cena, la serata continuò gioiosa con canti tradizionali di nenie natalizie alternate con quelle dell'ospite,
nonché la recita, come consuetudine, della commovente, sempre attuale, poesia "La Mezzanotte Santa" (Guido Gozzano) in quell'ambiente, che poteva avere una certa somiglianza con
la grotta di Betlemme, forse inadeguato per le nuove generazioni. Intorno alle ventitré, mia madre si affrettò a preparare il giaciglio all'ospite e salì al piano di sopra,
per riposare nel letto con mio fratello. Io e le due sorelle, invece, con la poca luce di una lanternina vetrata, alimentata ad olio, ci avviammo, verso la Chiesa per assistere alla Santa Messa
preceduta dal rito della nascita e "posa" di Gesù Bambino nel Presepe, che, per tradizione, veniva accompagnato dal suono degli zampognari, tra quali i miei avi e da flauti e
fischietti di canna stagionata. Non dimenticammo di pregare e invocare il Bambino Gesù a far ritornare nostro padre, sano e salvo dalla guerra, come poi avvenne nei primi mesi del 1940,
prima con rimpatrio e avvicinamento in una caserma militare a Barletta e poi in congedo illimitato, agevolato dall'avere a carico moglie e quattro figli.
Palcoscenico della seconda vigilia di Natale.
Viene ricordata con scenari molto diversi nella villetta di mia sorella maggiore, nella lontana Australia. Tra l'una e l'altra, oltre mezzo secolo addietro, avvennero significativi mutamenti
nell'intero mondo. Anche Capistrano ha goduto del boom economico, infatti, la discreta espansione urbanistica aveva contribuito ad abbandonare le piccole case del centro storico. Il fenomeno
dell'emigrazione, iniziato negli anni cinquanta, ha causato, però, un decremento anagrafico: la popolazione è scesa da circa tremila a meno di mille unità. Pur conoscendo
bene l'Australia, frequentata fin dagli anni sessanta, nutrivo l'idea di trascorrere insieme a mia moglie una vigilia di Natale con le famiglie delle mie sorelle e di mio fratello, nel lontano
continente oceanico. Lavoravo nel settore viaggi e turismo per cui godevo delle facilitazioni per me e i miei familiari. Sin dal mio arrivo, assieme a mia moglie, pochi giorni prima del
ventiquattro dicembre 2001, fummo ospitati nella comoda casa di mia sorella maggiore, in Miller Street, dove abitavano l'altra sorella e l'altro fratello. Essendo estate, sotto la veranda del
giardino, era tutto pronto per la cena e, quanto preparato non tradiva le tradizioni del paese d'origine. Tra una portata e l'altra, iniziata dall'antipasto di mare e terminata con varietà
di dolci e caffè macchiato con l'anice, tra noi commensali ogni conversazione era riferita alla nostra Capistrano, mai dimenticando gratitudine al paese ospitante. Le troppe luci della notte,
dicevano, ci hanno tolto la poesia e l'incanto del cielo stellato. Ricordavano gli anni dell'infanzia e adolescenza come i più belli della loro vita, ancora spensierata. Non avevano altri
giocatoli, se non le risorse che regalava loro la natura: rincorrere, di giorno, nei profumati prati verdi le colorate farfalle, e di sera, nel buio delle viuzze del nostro borgo, le dorate
lucciole. Conclusa la serata, scambiati i rituali auguri, ci siamo ritrovati nella vicina Chiesa, per assistere alla santa Messa. Un impeto di sdegno, si ripeté nel mio animo come lo
fu l'11 settembre del 2001, davanti al televisore di casa nel vedere l'immane, vile attentato alle torri gemelle di New York, perpetrato da dirottatori terroristi; infatti, appena entrati in
Chiesa, il mio sguardo diretto all'altare si fermò sull'insolito Presepe che, al contrario degli anni precedenti, non era somigliante a quello realizzato da san Francesco di Assisi a
Greccio al ritorno del suo viaggio in Terrasanta. Ai piedi delle due torri gemelle di cartapesta, stroncate e ancora fumanti per l'impatto, vi erano soltanto le statuette della natività.
Anche il parroco, di origine maltese, fece riferimento all'assenza della pace e al nuovo stile del suo presepe. Concludendo, aggiungerei che la celebrazione del Natale è più
che uno stimolo per invocare l'avvento di una pace duratura nei cuori degli uomini.
03/04/2024 | Esposito Salvatore |
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Salvatore Esposito
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